Zenobia in Palmira, Barcellona, Figueró, [1708]

 ATTO PRIMO
 
 Piazza reale trionfalmente addobbata, con veduta della reggia di Palmira.
 
 SCENA PRIMA
 
 DECIO con seguito de’ romani, poi ODENATO con seguito di palmireni, popolo, eccetera
 
 DECIO
 
    A l’armi più giuste
 il ciel diè favor.
 
35   Del Tigri la sponda
 coltivi feconda
 le palme più auguste
 al suo vincitor.
 
 ODENATO
 Al cielo, al cielo appunto
40deggio la mia vittoria;
 sconfitto è ’l Perso, libera Palmira,
 Aspasia in mio poter, Farnace avvinto
 fra le assirie ritorte. Eterni dei,
 di sì illustri trofei
45vostra è la gloria; e sono
 i miei lauri e ’l mio regno un vostro dono.
 DECIO
 Fregio del vincitor, speme del vinto,
 bella pietà, ti applaudo.
 Odenato, gran re, la bella Aspasia,
50spoglia non vil del tuo trionfo, è degna
 di tua clemenza. A pro di lei ti parla
 nel magnanimo core
 il suo grado, il suo sesso...
 ODENATO
                                                 E più ’l tuo amore.
 DECIO
 Signor, nol niego. Ardo d’Aspasia; e ’l foco,
55noto e non mal gradito,
 nacque alor che di augusto
 andai messaggio al re Sapor, suo padre.
 ODENATO
 Felice amor che almeno
 passò dagl’occhi al seno
60e fu, se a questo pena, a quei diletto.
 DECIO
 Ma chi arse mai per non veduto oggetto?
 ODENATO
 Io, duce, io son che n’ardo. Amo l’eccelsa
 amazone di Assiria...
 DECIO
 Zenobia?
 ODENATO
                     La magnanima, l’invitta,
65la cui fama gran parte
 tace del ver, per non parer bugiarda.
 DECIO
 Ma se l’ami non vista,
 altro non ami in lei che il tuo pensiero.
 ODENATO
 Amo in lei la virtude, amo il valore;
70ed amor per piagarmi,
 non da beltà, prese da gloria ha l’armi.
 
    Con un bel guardo amore
 ancor non mi ferì.
 
    La fama d’un gran core
75fu ’l bel, che m’invaghì.
 
 SCENA II
 
 ZENOBIA in abito da guerriero, FARNACE, seguito di assiri, di schiavi persiani e li suddetti
 
 ZENOBIA
 Re di Palmira, al tuo trionfo io reco
 nel prigionier Farnace
 il non ultimo fregio. Egli è ’l superbo
 duce de’ Persi, il fiero
80distruttor de’ tuoi regni, ei che fra l’armi
 tentò ne la tua morte
 le vendette di Aspasia...
 FARNACE
                                              E quello, aggiugni,
 che per Aspasia odio immortal ma giusto
 a te deve, a te giura; e meco il giura
85d’ire funeste acceso
 il monarca de’ Persi,
 da un tuo rifiuto in lei sua figlia offeso.
 DECIO
 (Anche vinto, minaccia il cor feroce).
 ODENATO
 Nobil guerrier, sotto le assirie insegne (A Zenobia)
90è troppo avvezza a militar fortuna.
 Al suo carro l’avvinse
 l’alta illustre eroina,
 per cui gloria ha ’l suo sesso, invidia il nostro.
 A l’armi sue deggio ’l trionfo e deggio
95la vita ancor. Nel valor vostro, o duci,
 pugnò il suo genio; e in voi
 parve sul campo d’ostil sangue intriso
 tutto egualmente il suo gran cor diviso.
 ZENOBIA
 (Non men che l’alma invitta, ha bello il viso).
 ODENATO
100Restino a te, Farnace,
 l’ire superbe in libertà. D’alora
 n’ebbi il primo trionfo
 che appresi a non temerle. E tu di Roma (A Decio)
 freggio maggior, vanne ad Aspasia e dille
105che la mia reggia, ove l’arresta il fato,
 non è carcer per lei. Ne’ miei vassalli
 servi avrà, non custodi.
 FARNACE
 (Decio ad Aspasia? O mio destin spietato!)
 ODENATO
 Così servo al tuo amor. (Piano a Decio)
 DECIO
                                             (Parto beato).
 
110   La nemica tua vezzosa
 ne lo sdegno e nel martoro
 tutta immersa io troverò.
 
    Ma in offrirle a suo ristoro
 una man sì generosa,
115l’ira e ’l duol n’espugnerò.
 
 SCENA III
 
 ODENATO, ZENOBIA, FARNACE
 
 ZENOBIA
 Perdonami, o signor. Pietà imperfetta
 è mezza crudeltade;
 e dì mano real non escon doni
 che non sieno compiti e non sien grandi.
120Aspasia entro Palmira
 sarà sempre cattiva;
 e le saranno i tuoi favori istessi
 rimprovero crudel di sua sciagura.
 Torni ella pure al ciel di Persia; ed ivi
125la seguano, Farnace,
 de l’indomito sen le furie ultrici;
 ma ’l tuo re da te intenda
 qual sia ’l cor, qual la man de’ suoi nemici.
 ODENATO
 Del destino de’ vinti (Verso Zenobia)
130l’assirio Marte a suo piacer disponga.
 Vada Farnace. (Verso Farnace)
 FARNACE
                              Andrò, Odenato; e solo
 per cangiarlo in tua pena accetto il dono.
 Non avrai sempre a fianco
 chi disarmi in tuo pro la mia vendetta;
135e in Palmira ben tosto
 me più possente e più nemico aspetta.
 
    Tutto il sangue, che t’empie le vene,
 vo’ ch’estingua l’acceso mio sdegno.
 
    Una parte ne bea la mia spada;
140ma pria l’altra dagl’occhi ti cada
 su l’eccidio de l’arso tuo regno.
 
 SCENA IV
 
 ODENATO e ZENOBIA
 
 ODENATO
 Ad Aspasia mi chiama,
 duce, un forte dover.
 ZENOBIA
                                         La tua nemica
 tanto t’è a cor? (Giovi scoprirne i sensi).
 ODENATO
145Deggio questo rispetto alla sua sorte.
 ZENOBIA
 Vanto ha di bella; e in due begl’occhi il pianto
 spesso facile via s’apre ad un core.
 ODENATO
 In diffesa del mio veglia altr’amore.
 ZENOBIA
 Altr’amor?
 ODENATO
                       Gli dan grido
150il rifiuto d’Aspasia e l’armi perse.
 ZENOBIA
 Chi ne ha l’onor?
 ODENATO
                                  La tua regina.
 ZENOBIA
                                                              Eh! Duce,
 non vedute sembianze amar chi puote?
 ODENATO
 Io che, pria d’un bel volto, amo un gran core.
 ZENOBIA
 In lei che t’invaghì?
 ODENATO
                                       Fama e virtude.
155Or n’amo anche i favori; e se al grand’uopo
 mi difese con l’armi il suo potere,
 l’amo insieme e per gloria e per dovere.
 ZENOBIA
 (Nobile amor!) Ne giunse
 a Zenobia anche il grido; e ne’ tuoi rischi
160temé di parer vile o almeno ingrata.
 ODENATO
 Bella fiamma del cor, tu sei beata.
 ZENOBIA
 
    Credi a me,
 amor disse a lei di te
 ciò che a te di lei narrò;
 
165   e così,
 con lo stral che il tuo ferì,
 il suo petto ancor piagò.
 
 ODENATO
 Ma dimmi. A la grand’alma
 diede natura anche condegno albergo
170e fregi accresce al suo valor beltade?
 ZENOBIA
 (Qual richiesta? Qual voto?)
 ODENATO
 Cresce l’amor, quanto più cresce il merto
 de l’oggetto che s’ama...
 ZENOBIA
 E in chi s’ama virtù, beltà si brama?
 ODENATO
175Come raggio di sole in ciel sereno,
 più bella è in un bel corpo la virtude.
 ZENOBIA
 E se onor di beltà manchi al sembiante?
 ODENATO
 A la virtù non mancherà l’amante.
 Che più tacer? La vergine reale
180amerò con più ardor, se ha vago il volto,
 se non l’ha, con più merto.
 ZENOBIA
 (Che mai dirò?)
 ODENATO
                                 Favella.
 ZENOBIA
                                                  In uom gentile
 è giusta mai la sconoscenza?
 ODENATO
                                                      È vile.
 ZENOBIA
 A chi ’l sottrasse a morte
185nulla egli dee?
 ODENATO
                              Tutto anzi deve al forte.
 ZENOBIA
 Pugnando, in grave rischio
 fosti tu mai?
 ODENATO
                           Mi tolse
 ne l’ultimo conflitto
 a mortal piaga assirio duce invitto.
 ZENOBIA
190Sai qual e’ sia?
 ODENATO
                               Chiuso ne l’elmo il prode
 portò altrove la strage e la vittoria.
 ZENOBIA
 Nulla disse in partir?
 ODENATO
                                          «Prendi» mi disse
 «quest’aurea gemma». Io qui ne serbo il dono. (Mostrando un scattolino d’oro)
 ZENOBIA
 E di Zenobia il volto
195a me chiedi qual sia?
 ODENATO
                                          Quando il mirai?
 ZENOBIA
 L’aurea gemma rimira e lo saprai.
 ODENATO
 Avido corra il guardo (Volendolo aprire è fermato da Zenobia)
 ZENOBIA
 
    Ferma; aspetta;
 cieca brama a che ti affretta
200o di accrescer la tua piaga
 o di estinguere il tuo ardor.
 
    Se del bello ella è sì vaga,
 più non dir che la innamori
 un gran nome ed un gran cor.
 
 SCENA V
 
 ODENATO
 
 ODENATO
205Che? Non intendo. O dio! Tra queste gemme
 sta forse il mio tesoro?
 E tu, timida destra, ancor mel chiudi?
 Apri. Ogn’induggio è pena. Ah! Che rimiro? (Apertolo ritrova il ritratto di Zenobia)
 Questa è Zenobia. Intorno
210vi leggo il nome a ciffre d’oro impresso.
 Questo è ’l suo volto. Il cor mel giura. È desso.
 È desso; e le sembianze
 tien del guerrier ch’a me lo diede. O cieco!
 Io cercava il mio sole e l’avea meco.
 
215   Sovente il pensiero
 del bel, che non vide,
 l’idea si formò.
 
    Ma vinta dal vero
 l’idea benché grande
220alfin si trovò.
 
 Sala.
 
 SCENA VI
 
 ASPASIA
 
 ASPASIA
 
    Sorte ria, che vuoi di più?
 Un sol dì
 mi tradì
 ne l’amor, ne la vendetta
225e mi tiene fra le pene
 di un’abietta servitù.
 
 Son io più Aspasia? Io di Sapor la figlia?
 Dove son le mie schiere?
 Dove le mie vendette? Entro Palmira
230io sperava trionfi e incontro ceppi.
 Così ’l cielo mi vendica? Così
 mi difende Farnace?
 E tu m’ami così, Decio spergiuro?
 Perfido, ov’è la fede
235giurata in Persia? Ove l’amor? Tu primo
 a’ danni miei? Tu mio nemico? Ah spegni,
 spegni, misera Aspasia,
 le infelici tue fiamme, odia l’ingrato;
 e l’odia, se ’l puoi far, più di Odenato.
 
 SCENA VII
 
 DECIO ed ASPASIA
 
 DECIO
240Odio, sì, principessa, odio ti chieggo;
 ma un odio che sia giusto,
 misero più che reo, chieggo a’ tuoi piedi.
 Odi le mie discolpe; e poi condanna,
 se condannar la dei,
245l’alta necessità de’ falli miei.
 ASPASIA
 E Decio ancor, Decio d’Aspasia ardisce
 offrirsi al guardo ed insultar le pene?
 Forse di mie catene
 vieni a goder? Vieni a cercar il vanto
250de la perfidia tua sin nel mio pianto?
 DECIO
 Contra i Persi, egl’è ver...
 ASPASIA
                                                Taci. Abbastanza
 mi sovvengono i torti
 di un empio cor. Contra d’Aspasia armarsi
 l’Asia potea, Roma, la terra; il solo
255Decio non lo potea. Gli dei giurati,
 la tua fede, il mio amor, tutto oltraggiasti,
 tu che, a’ miei mali inteso,
 di furie il sen, di acciar la destra armasti.
 DECIO
 
    Lascia ch’io parli, o bella;
260e poi, se mi vuoi morto,
 a’ piè ti morirò.
 
    Con troppo rio furore
 se mi condanni a torto,
 al tribunal di amore
265crudel ti accuserò.
 
 ASPASIA
 Parla. Discolpe ingiuste
 nuovo furor mi accenderanno in seno.
 (Ma se ’l torno a mirar, l’ira vien meno).
 DECIO
 Ne l’amante d’Aspasia
270di augusto vedi anche un vassallo e vedi
 un cittadin di Roma.
 Tutto in lui può l’amor, purché l’amore
 non si opponga al dover; cesare impone
 che a l’amico Odenato
275guidi in favor l’armi latine.
 ASPASIA
                                                    Aspasia
 di quell’armi era scopo;
 e pur tu le guidasti, alma sleale.
 DECIO
 Al comando sovrano
 disubbidir potea?...
 ASPASIA
280Sì, un core amante.
 DECIO
                                      E non un cor romano.
 ASPASIA
 Se Roma a’ suoi guerrieri (Volgendosi con ira)
 insegna crudeltà, la tua compisci
 nelle miserie mie; vieni, ti affretta;
 a me quasi a vil serva
285fa’ troncar queste chiome,
 accorciar questo manto; il piè mi prema
 ferrea catena; in lacci
 la man si stringa. E ad ostil carro avvinta
 spettacolo di scherno
290fa’ ch’io lo siegua e prigioniera e vinta.
 DECIO
 Tu temi oltraggi ed io ti reco, o bella,
 favori e libertà. Ti sia Palmira
 reggia d’impero
 ASPASIA
                                 Iniquo,
 favor di mano avversa
295è peso e non è dono.
 
 SCENA VIII
 
 FARNACE e li suddetti
 
 FARNACE
 E ognor sei schiava ove un nemico ha ’l trono.
 ASPASIA
 Farnace?
 FARNACE
                    Omai di questo
 barbaro cielo a noi fuggir conviene
 l’aure odiose. Il generoso assiro,
300che salvando Odenato
 a me tolse di man la tua vendetta,
 di piena libertà l’uso ci rende.
 ASPASIA
 E l’accetto da lui.
 Dovuta a’ miei nemici
305anche la libertà mi saria pena.
 FARNACE
 Vieni.
 ASPASIA
               Addio, Decio.
 DECIO
                                          (Gelosia mi svena).
 FARNACE
 (Trionfo del rival).
 DECIO
                                     Tu parti, Aspasia?
 ASPASIA
 Su l’orme del mio sdegno.
 DECIO
 E parti con Farnace?
 FARNACE
310Con lui, sì, che al suo fianco
 vegliò tra l’armi e che per lei fedele
 sprezzò rischi e disaggi.
 ASPASIA
 Ma sleal mi fu Decio, empio e crudele. (In atto di partire ma poi in lontano si ferma a mirar Decio)
 DECIO
 (Resisti, o cor).
 FARNACE
                               (Che più ti arresti?) (Ad Aspasia)
 ASPASIA
                                                                      Eh! Lascia, (A Farnace)
315lascia ch’io gusti ancora
 nel duol de l’infedel la mia vendetta.
 FARNACE
 Più mesto il vuoi? La tua partenza affretta.
 DECIO
 Vanne ma grata almeno
 al tuo liberator...
 ASPASIA
                                 Che? I miei doveri
320pendon da’ tuoi consigli?
 Andiam, Farnace; e teco resti, iniquo, (A Decio)
 de l’ire mie la rimembranza e insieme
 de la perfidia tua tutto il rossore. (In atto di partire)
 (Io partirei, se ’l consentisse amore).
 FARNACE
325E pur sospendi il dubbio piè?
 ASPASIA
                                                         Farnace,
 rispondi; m’ami?
 FARNACE
                                   In testimon del core
 rispondan l’opre.
 ASPASIA
                                  Applaudo. (A Farnace) E in te, spergiuro, (A Decio)
 vive del primo foco
 scintilla ancor?
 DECIO
                               Giamai,
330più di quel ch’ora t’amo, io non t’amai.
 ASPASIA
 Piacemi (A Decio) A questo cielo (A Farnace)
 non vuoi tu ch’io m’involi?
 FARNACE
 E torni al genitor.
 ASPASIA
                                   Tu ch’io qui resti? (A Decio)
 DECIO
 De’ miei voti è ’l più dolce.
 ASPASIA
335Ma ch’io resti, (A Decio) ch’io parta (A Farnace)
 ne’ torti invendicata,
 ne’ furori negletta?
 Decio, Farnace.
 DECIO, FARNACE A DUE
                               Che?
 ASPASIA
                                           Voglio vendetta.
 
    Vuoi ch’io parta? Partirò. (A Farnace)
340Vuoi ch’io resti? Resterò. (A Decio)
 Ma vendetta io vuo’ da te. (Or a l’uno, or a l’altro)
 
    Vuoi tu amore? (A Farnace) Vuoi tu affetto? (A Decio)
 So che ardir tu chiudi in petto. (A Farnace)
 So che in sen tu vanti fé. (A Decio)
 
 SCENA IX
 
 DECIO e FARNACE
 
 FARNACE
345Furie del cor, vi desti
 ad imprese più ardite il bel comando.
 DECIO
 (Qual vendetta si chiede
 in favor del mio amore alla mia gloria?)
 FARNACE
 Decio, così sospeso? è tempo, è tempo
350di meritar Aspasia.
 La tua fé ne ha l’invito.
 Se tardi, il campo al tuo rival tu cedi.
 Già ti precorro; e tu lo soffri e ’l vedi.
 DECIO
 Che far posso? A un Farnace,
355al più forte campion del perso impero,
 l’implacabile Aspasia
 le sue vendette affida. Ecco te lieto,
 lei vendicata. Or vanne,
 riconducila al padre. Aure propizie
360già spirano a’ tuoi lini; e resti intanto
 qui Decio l’infelice in mar di pianto.
 FARNACE
 Non mi movono a sdegno i tuoi disprezzi.
 Tutte ora deggio le vendette e l’ire
 al comando di Aspasia.
 DECIO
                                             Ire e vendette
365in Aspasia infelici,
 in Farnace impotenti.
 FARNACE
 Impotente non è cor resoluto;
 ed a beltà negletta
 mai non mancan ministri alla vendetta.
 
370   Sfidar so lo sdegno
 di barbara sorte.
 
    Ho provvido ingegno
 ed anima forte.
 
 SCENA X
 
 DECIO, poi ODENATO
 
 DECIO
 Si temano in costui
375un genio scelerato,
 un amor disperato.
 ODENATO
                                      E qual ti accolse,
 amico duce, la sdegnosa Aspasia?
 DECIO
 Piena de l’odio tuo, de l’odio mio,
 a me niega perdono,
380a te cerca nemici e tenta offese.
 ODENATO
 A la concessa libertà sì ingrata?
 DECIO
 Vol partir vendicata
 o non uscir di sua prigione.
 ODENATO
                                                    Eh! Decio,
 di amor che la trattiene
385l’odio è un pretesto; e tanto
 non l’arresta in Palmira
 Odenato nemico,
 quanto Decio amator.
 DECIO
                                          Cieca ne l’ira
 ella spinge a’ tuoi danni
390la rabbia di Farnace e ’l mio dovere.
 Ma Farnace è impotente, io son romano.
 E bench’ella mercede a l’opra sia,
 amo più del suo amor la gloria mia.
 ODENATO
 Quanto può, tenti Aspasia. In te mi affido
395e Farnace non temo.
 DECIO
 La troppa confidenza
 è rea talvolta od è nociva.
 ODENATO
                                                I passi
 tu ne osserva e le trame.
 Poi nel parco real fa’ che disposta
400sia nobil caccia. A la guerriera idea
 de l’invita Zenobia offrir non posso
 spettacolo più degno
 ch’ove pugnano a gara
 con la stolida forza e braccio e ingegno.
 DECIO
405Che? Zenobia in Palmira?
 ODENATO
 Nel mio liberator trovai la stessa;
 e parte del suo bello
 vedine, o duce, in questo cerchio espressa. (Gli mostra il ritratto)
 DECIO
 
    Ciel cortese, il gran potere
410de’ suoi doni in lei mostrò. (Guardandolo attentamente)
 
    Tutto il grande in lei si vede;
 e quel volto a noi fa fede
 di quel bel che lo creò.
 
 SCENA XI
 
 ODENATO e ZENOBIA da donna
 
 ODENATO
 Sembianze del mio bene, (Sta mirando il ritratto e Zenobia in disparte lo osserva)
415sguardo non fisso in voi
 che non scuopra anche in voi nuove belleze.
 ZENOBIA
 (Qui ’l mio signor. Mentr’egli
 mira il ritratto, io l’esemplar vagheggio).
 ODENATO
 (Né bellezza in voi scuopro
420ch’ella non apra in me piaghe novelle).
 ZENOBIA
 L’anima a lui sen vola. (Accostandosi)
 ODENATO
 Luci de l’idol mio, siete pur belle.
 ZENOBIA
 Che sì, che sì, Odenato,
 che un vicino sembiante
425distrutto ha l’opra d’un amor lontano,
 formato da l’idea, non da l’oggetto.
 ODENATO
 Lo stupore, il diletto,
 l’amor, la gratitudine, la gloria,
 tutti, o mia principessa,
430in questo punto dal pensiero al core
 e in un dal core ripassando al labbro,
 vorrien pur dir; ma che dir poi non sanno;
 e ’l giubilo de l’alma,
 come in vaso ricolmo umor racchiuso,
435per troppa piena in su l’uscir ringorga.
 ZENOBIA
 Mio re, nel tuo piacer sento il mio bene;
 ma se tutto dir brami
 per gioia del cor mio, dimmi che m’ami.
 
    Di’ che m’ami e son contenta;
440nulla manca al mio goder.
 
    Dillo, sì; ma nol ridire,
 che potrei di vita uscire
 per eccesso di piacer.
 
 ODENATO
 T’amo, se vuoi ch’io ’l dica;
445ma nel dirlo ho timore
 di parer poco amante e troppo ingrato.
 ZENOBIA
 O effetti!
 ODENATO
                    O godimenti!
 A DUE
                                               O cor beato!
 ODENATO
 Non più, mia cara fiamma.
 ZENOBIA
 Non più, mio dolce strale.
 ODENATO
450A l’ardor di quegl’occhi io vengo meno.
 ZENOBIA
 Al ferir di quel ciglio il seno è poco.
 Io già son tutta piaghe.
 ODENATO
                                             Io tutto foco.
 ZENOBIA
 
    La cara piaga...
 
 ODENATO
 
 Il dolce ardor...
 
 A DUE
 
455Di questo core
 sol vien da quelle
 pupille belle,
 lucenti stelle
 del ciel d’amor.
 
460   Al mio martoro
 non vuo’ ristoro,
 che sol mi appaga...
 
 ZENOBIA
 
 La cara piaga.
 
 ODENATO
 
 Il dolce ardor.
 
 Fine dell’atto primo